INGENIO web” del 06 Ottobre 2020, Imready Srl – RSM –
Non tutti sanno che l’Italia è la prima nazione in Europa e la seconda al mondo per lunghezza complessiva di gallerie stradali e ferroviarie: oltre 2.100 chilometri, seconda solo alla Cina. Stando ai dati pubblicati dall’ANCE nel 2019, la costruzione di tunnel è una voce importante per l’industria italiana del settore, con un fatturato complessivo di 15 miliardi di euro, realizzato all’estero nella realizzazione di linee sotterranee di metropolitana.
Sia a livello scientifico che applicativo, il nostro paese si colloca ai vertici nel campo della meccanica delle terre e delle rocce ed è al timone della ricerca, progettazione e realizzazione delle più importanti opere geotecniche nel mondo.
Nella realizzazione di tunnel, sia ferroviari che stradali, l’Italia nell’ultimo ventennio ha assunto una posizione di leadership che l’ha vista protagonista sia dal punto di vista dell’innovazione che dell’industrializzazione del processo costruttivo. Ciò, è di fondamentale importanza se si traguarda l’obiettivo del rispetto dei tempi di realizzazione e dei costi di queste opere. Non va dimenticato che in passato, proprio sotto l’aspetto del rispetto dei tempi e dei costi, abbiamo sofferto parecchio, soprattutto, per effetto di quel retaggio di approcci progettuali e costruttivi rivelatisi poi poco realistici/funzionali e in alcuni casi basati su ipotesi scientificamente errate: così come ampiamente argomentato nel mio libro “L’arte del costruire gallerie” Edito da UNIService – Trento 2009. L’idea, ormai vecchia, della costruzione di un Tunnel sotto lo Stretto di Messina, è un argomento che suscita dibattiti interminabili su aspetti diversi che vanno dalla fattibilità delle opere alla loro reale necessità in un territorio che soffre annosi e irrisolti problemi infrastrutturali.
Concentriamoci però sulla fondatezza o meno di poter realizzare un Tunnel sotto lo Stretto tralasciando gli aspetti politici, economici e sociologici della questione cercando di analizzare il contesto geologico nel quale il tunnel (ovvero, i tunnel, come vedremo nel seguito) dovrebbe essere realizzato nonché, gli aspetti macro ingegneristici e di logistica da risolvere.
Lineamenti geologici e tettonici
La presenza di un braccio di mare stretto e profondo tra la Calabria e la Sicilia è l’espressione di una incipiente separazione che avviene lungo un sistema di faglie collegato all’Arco Calabro, una regione geologicamente molto dinamica. Lo Stretto di Messina è un’area cruciale dove diversi sistemi di faglie profonde convergono e interferiscono provocando terremoti, Grandi Frane sottomarine e Deformazioni Gravitative Profonde di Versante e vulcanesimo. È una zona di svincolo, una sorta di perno che assorbe i movimenti di diverse strutture geologiche, tra le più attive e pericolose di tutto il Mar Mediterraneo.
Sulla sponda tirrenica la litosfera africana si immerge in profondità e arretrando verso sud-est trascina con sé parte della Calabria e della Sicilia Nord-Orientale. Dall’altro lato, nello Ionio, sono presenti estesi sistemi di faglie che accomodando la convergenza tra le placche africana ed eurasiatica. Una fascia di deformazione ampia che coinvolge direttamente lo Stretto collega questi due sistemi di strutture tettoniche provocando lo sprofondamento dello Ionio occidentale, proprio di fronte allo Stretto. Queste ultime strutture sono profonde, lunghe decine di chilometri e molto attive, come dimostrato da fenomeni particolari come la risalita di fluidi profondi e processi vulcanici. L’Etna, il più grande e attivo vulcano europeo, si è formato proprio su una di queste strutture.
Infatti, volendo argomentare dettagliatamente quanto innanzi affermato, lo Stretto di Messina ricade in una zona del bacino del Mediterraneo contrassegnata, nel Quaternario, ma soprattutto negli ultimi 700.000 anni, da un’attività geodinamica molto intensa. In tale periodo, nel versante occidentale dell’Aspromonte, infatti, si registra un sollevamento di circa 300m comprovato dai resti di superfici terrazzate (Miyauchi et al., 1994); a quote inferiori, tra i 160 e i 100m sul livello del mare, altri lembi di terrazzo marino, databile al Tirreniano (125.000 anni dal presente), ultimo periodo interglaciale che precede quello in cui viviamo, consentono di valutare il tasso di sollevamento medio a 1,2 mm/anno, recentemente aggiornato a 1,3-1,8 mm/anno a seguito del ritrovamento di una spiaggia sollevata fino a 4m sull’attuale livello marino, risalente a un periodo tra i 2.500 e i 3.500 anni dal presente (Antonioli et Al., 2002).
Sotto l’aspetto tettonico, lo Stretto di Messina è impostato in un sistema di faglie di lunghezza regionale che definiscono una struttura del tipo fossa tettonica (Ghisetti, 1992). Alcune di esse sono affioranti, altre sommerse nei fondali dello Stretto o nel Mar Tirreno; alla loro attività, oltre i suddetti innalzamenti, si devono terremoti particolarmente energetici e distruttivi, fino al decimo e undicesimo grado della scala Mercalli. Dagli studi di geodesia spaziale si evince che la Sicilia e la Calabria sono coinvolte da spostamenti orizzontali dell’ordine dei 10mm/anno (Anzidei et al., 2001) e che, pur partecipando entrambe a un movimento verso N, tendono a divergere (Oldow et al., 2002). Ciò a causa della tettonica estensionale che caratterizza la zona assiale della regione calabrese e la Sicilia orientale, compreso l’offshore dello Stretto con la scarpata della faglia di Malta, forse la struttura sismogeneratrice dei terremoti distruttivi della Sicilia orientale del 1169 e del 1693. Malgrado tali informazioni provengano da ricerche di geodesia spaziale, non c’è ancora accordo su quali siano le faglie attive cui attribuire i suddetti meccanismi, responsabili, tra l’altro, anche dei più forti terremoti accaduti in tempi storici, quali quelli del 1783 (Vivenzio, 1783; Sarconi, 1784; Mercalli, 1897) e del 1908.
Fino ad oggi la faglia di Cittanova, o faglia d’Aspromonte, è stata in genere identificata quale espressione superficiale della struttura sismogenetica del terremoto del 1783 (Cotecchia, Guerricchio e Melidoro, 1986; Guerricchio e Ronconi, 1997). Essa è attiva e ha prodotto numerosi eventi sismici nell’Olocene e in tempi storici, di energia così elevata da generare rotture sulla superficie terrestre, oltre che nell’area epicentrale della piana di Gioia Tauro anche nella zona dello Stretto di Messina. In quest’ultima, infatti, si riconoscono profondi “squarci” (“trenches”) nelle rocce granitoidi particolarmente dure e resistenti del rilievo collinare allungato in senso E-W bordante lo Stretto dal lato calabrese. Tra essi vanno ricordati, ad esempio, quello che, iniziando dalla località di Piano Matiniti, si dirige verso Campo Piale e poi verso Villa San Giovanni con direzione E-W e l’altro che, sempre da Piano Matiniti, giunge verso Cannitello assumendo una orientazione all’incirca NW-SE. Se consideriamo la somiglianza geologica tra la faglia di Cittanova e quelle del Mesima, di Sant’Eufemia, di Delianova e Armo con essa confinanti, unitamente alla distribuzione delle intensità dei principali “recenti” terremoti catastrofici, può dedursi che, con molta probabilità, le suddette faglie siano le strutture sismogeneratrici di questi ultimi sismi avvenuti tra Catanzaro e lo Stretto di Messina. Questo sistema, che immerge verso il Tirreno, cioè verso O, potrebbe forse essere correlato al processo di rotazione della cerniera dello slab litosferico ionico in subduzione con contestuale assottigliamento della crosta oceanica tirrenica. Pertanto, la struttura dello Stretto di Messina, prima definita fossa tettonica, può rappresentare la zona di svincolo o di trasferimento tra le faglie della Calabria meridionale immergenti verso ovest (Mesima, Cittanova, Sant’Eufemia, Delianova e Armo) e quella materializzabile con la scarpata di Malta immergente verso E, lungo la quale si concentra l’attività tettonica e magmatica della Sicilia orientale, caratterizzata da sismicità distruttiva e intenso magmatismo (Baratta, 1910; Hirn et al., 1997).
Anche il territorio di Messina, quindi, ricade nella vasta regione tettonica caratterizzata dal Graben dello Stretto di Messina al quale, sul fronte calabro emerso corrispondono i pilastri tettonici sud-calabresi che delimitano l’ampia depressione nota in geologia come Bacino di Reggio. Si tratta di una regione interessata da intensi movimenti tettonici verticali ancora attivi, che hanno dato origine al rapido sollevamento dell’Aspromonte in Calabria e dei Monti Peloritani in Sicilia. Il sollevamento del basamento cristallino è avvenuto con andamento discontinuo ed ha generato la successione dei terrazzi pleistocenici che delimitano la zona orientale del bacino, inserendosi nel sollevamento regionale polifasico che in Aspromonte può essere riscontrato fino ad altitudini superiori ai 1600 metri.
Diffusi fenomeni di subsidenza hanno caratterizzato il Bacino di Reggio, accentuandone l’aspetto depresso rispetto all’entroterra appenninico in sollevamento e dando luogo a diversi cicli di sedimentazione con depositi di spessore più o meno elevato, intervallati alle fasi di sollevamento.
Tunnel ferroviario o stradale?
Ebbene sì, occorrerà stabilire, alla luce delle considerazioni geologiche e tettoniche dell’area, se procedere allo studio dettagliato di un tunnel ferroviario o di uno stradale. Potrà sembrare strano ma l’uno esclude l’altro. Facciano alcune analisi specifiche.
Nel piano verticale, un tracciato Ferroviario è costituito da livellette, definite univocamente tramite la loro lunghezza e pendenza e da raccordi circolari.
In ambito europeo vengono impiegate pendenze fino al 35‰ per linee specializzate per soli treni viaggiatori a composizione bloccata e fino al 12,5‰ per linee promiscue di treni viaggiatori e treni merci.
Tuttavia il sistema promiscuo di alta velocità italiano accetta pendenze fino al 21‰. Questi valori di pendenza cambiano nel momento in cui il tracciato si sviluppa in galleria con valori che vengono imposti a max 10 ‰. Ciò significa che per ogni 1 ‰ di pendenza in più equivale una resistenza aggiuntiva di circa 1 kg x 1 ton trasportata.
In galleria la pendenza è limitata a causa della minore aderenza dovute alle condizioni ambientali, ovvero alla presenza di umidità. Cosa comporta ciò?
- Il Tunnel Ferroviario impone delle pendenze massime che non occorrerà superare e che abbiamo visto attestarsi al 10‰. Per grandi linee e al solo scopo di illustrare il problema da affrontare tralasciando l’aspetto economico, considerando il punto più basso del fondale dello Stretto di Messina che è circa -150 m ed imposto un ricoprimento minimo del Tunnel di -50 m, il dislivello da superare sarebbe di circa -200 m. Con una pendenza del 10‰ del tracciato ferroviario occorrerebbero minimo 20 km di tunnel lato Calabria e ulteriori 20 km di tunnel lato Sicilia. Solo per capire, occorrerebbe realizzare un Tunnel Ferroviario che abbia imbocco per esempio a Bagnara Calabra (RC) oppure, appena oltre la città di Reggio Calabria (indicativamente nell’area dell’aeroporto) e uscita ben oltre Tremestieri (ME); uno sviluppo complessivo di circa 40 km attraversando in profondità sia la città di Reggio Calabria (se si opta per l’imbocco appena fuori città), sia la città di Messina. Sulla sponda tirrenica calabrese verso nord, invece, per chi ha visitato Bagnara Calabra ed abbia visto la morfologia del territorio (tralasciando l’aspetto geologico) e come si sviluppa l’attuale tracciato ferroviario, potrà farsi un’idea della situazione impossibile per impiantare un cantiere e procedere alla realizzazione di un’opera faraonica come quella descritta (sempreché non si accetti di allungare ulteriormente il tracciato del tunnel più a nord verso la città di Palmi (RC)).
- Il Tunnel Stradale accettando tracciati con pendenze molto più elevate dell’ordine del 6% per la tipologia di strada da realizzare, per superare sempre lo stesso dislivello visto al punto precedente con un ricoprimento minimo del tunnel sempre di -50 m, occorrerebbero minimo 4 km di tunnel lato Calabria e ulteriori 4 km di tunnel lato Sicilia per un totale di circa 8 km in totale (lunghezze molto più abbordabili per la costruzione tralasciano sempre le considerazioni geologiche e tettoniche dell’area fatte in precedenza).
Con le considerazioni di cui ai punti precedenti sia per il tunnel ferroviario che per quello stradale e con i vincoli di pendenza imposti proprio dal tracciato ferroviario, l’idea di costruire un tunnel unico di 40 km sia per le auto che per i treni potrebbe rivelarsi una “trappola mortale” in caso di incidente e/o per una qualsivoglia emergenza. Un’alternativa verosimile potrebbe essere quella di far “incontrare”, mediante biforcazioni, il tunnel stradale con quello ferroviario ad una certa posizione sulla sponda calabrese e in quella siciliana facendo percorrere un tratto promiscuo di soli 8 km sotto lo stretto di Messina e nei tratti in risalita verso le due regioni (anche una tale alternativa è da scartare per gli enormi problemi di sicurezza in caso di traffico promiscuo di auto e treni nonché, in termini di diametro di scavo che il tunnel nel tratto promiscuo dovrebbe avere).
- Un’ulteriore valida alternativa di discussione potrebbe essere il Submerged Floating Tunnel” detto anche Tunnel di Archimede (già proposto in passato in alternativa al Ponte sullo Stretto). In pratica un tunnel ancorato al fondale marino mantenuto ad una certa profondità al di sotto del livello marino grazie alla spinta di Archimede. Il governo Norvegese nel 2019 ha deciso di realizzarne uno per la prima volta nella storia di 27 chilometri. Una sorta di ponte galleggiante sommerso: una struttura a forma di tubo di cemento a 30 metri sotto la superficie del mare e non poggiata sul fondale, sul modello delle piattaforme di trivellazione petrolifere off-shore, con dentro un’autostrada, per poter giungere da una città all’altra ai due estremi del paese aggirando l’ostacolo dei fiordi. Non avendo precedenti nella storia, lo scrivente si astiene dallo scrivere e/o esprimere opinioni sull’argomento lasciando al lettore la libertà di farsi una propria idea.
La devastazione dei terremoti del 1783 e 1908
Dal 5 febbraio al 28 marzo 1783, cinque terribili scosse di terremoto devastano la Calabria centro-meridionale (Reggino, Aspromonte, Piana di Rosarno-Gioia Tauro, Catanzarese, Vibonese, Serre, ecc. ecc.) e tutta l’area di Messina e non solo. Decine di migliaia di morti. Circa duencento città, paesi e villaggi completamente distrutti e gravemente devastati. Tutto il territorio sconvolto da grandi frane, enormi Deformazioni Gravitative Profonde di Versanti, smottamenti, sbarramenti di fiumi e nascita di una quantità imprecisata di laghi e laghetti, liquefazione dei terreni, fuoriuscita di gas solfurei dal sottosuolo.
Boati spaventosi atterriscono la popolazione, costretta a convivere con centinaia e centinaia di scosse per molti mesi. La Catastrofe del 1783 tra le più grandi d’Europa a memoria d’uomo.
La Calabria nel 1783 (o meglio le Calabrie) era parte del Regno di Napoli. I Borbone conquistarono l’antico regno napoletano nel 1734, durante la Guerra di Successione Polacca, con l’insediamento al trono di Carlo, figlio del re di Spagna Filippo V e di Elisabetta Farnese. A quel tempo non esistevano telegrafi, radio, ecc. Le notizie viaggiavano per nave o a cavallo. Fu infatti una fregata, la Santa Dorotea, spostatasi il 10 febbraio dalle acque di Messina a quelle di Napoli a far giungere al re Ferdinando IV, il 14 febbraio, la terribile notizia delle prime disastrose scosse e degli ingentissimi danni e lutti patiti dai suddditi di Messina e delle Calabrie (Ferdinando IV mandò nelle aree colpite i migliori allievi della scuola d’arte di Napoli al fine di documentare, mediante disegni e scritti, quanto accaduto).
Il terremoto del 1783 ebbe il primo epicentro nella Piana di Gioia Tauro (Mercalli 1897). La durata della rima scossa fu particolarmente lunga, dell’ordine dei 3 minuti, seguita da una seconda scossa dopo circa 24 ore, con magnitudo stimata pari a M>7. Il terremoto si protrasse lungo un periodo di circa 4 anni, dal 1783 al 1786 durante i quali gli epicentri si spostarono dapprima verso lo stretto di Messina e successivamente nella valle del Fiume Mesima evidenziando una continuità geologico-strutturale di queste depressioni.
L’elevato livello energetico e la lunga durata dell’attività sismica hanno rappresentato i motivi fondamentali per l’innesco degli estesi e profondi fenomeni deformativi che si riscontrano in generale nel vasto territorio interessato dagli effetti di quel terremoto e nella Piana di Gioia Tauro in particolare. Va sottolineato che i fenomeni di liquefazione hanno dato origine a morfologie con modesti rilievi, creste, e depressioni dovute a meccanismi di earth block slides e di scorrimento rotazionale che in relazione alla vastità dell’area interessata, hanno coinvolto livelli particolarmente profondi rispetto al piano campagna e sicuramente superiori al centinaio di metri; spessori ben più elevati di quelli che normalmente vengono considerati essere suscettibili di fenomeni di liquefazione.
I depositi coinvolti appartengono al ciclo sedimentario plio-pleistocenico avendo la liquefazione interessato certamente la formazione marino sabbiosa del Calabriano e i soprastanti depositi continentali del Pleistocene inferiore. I depositi Calabriani, pur non particolarmente diagenizzati, hanno un’età che li porrebbe, in base alla letteratura, fra quelli difficilmente liquefacibili; tuttavia l’energia liberata dal terremoto del 1783 è stata di tale entità da originare i fenomeni descritti (Cotecchia et Al., 1969; Barbano et Al., 1980; Gasperini et Al., 1982; Cotecchia et Al., 1986).All’alba del 28 dicembre 1908, in soli 37 secondi, si scatenò una delle più grandi catastrofi naturali della storia. Alle 5.21, un terremoto di intensità 7.2 della scala Richter, XI grado (MCS), con epicentro nello stretto di Messina, distrusse la città siciliana e gran parte di Reggio Calabria, Scilla, Cariddi, Bagnara Calabra. Il sisma, secondo le stime dell’epoca, uccise tra le 80 e le 100mila persone sulle due coste dello stretto e causò circa 100 mila sfollati. Un’emergenza senza precedenti che mobilitò per la prima volta una rete di solidarietà nazionale e internazionale che si affiancò al governo nell’opera di soccorso e ricostruzione. Il terremoto del 1908 rappresenta la più grave catastrofe naturale italiana per numero di vittime e per intensità sismica.
Le caratteristiche dei terreni di fondazione e la qualità delle costruzioni determinarono la gravità dei danni osservati. A Messina, la parte vecchia ed in particolare la parte bassa e pianeggiante della città, fondata sulle sabbie subì i danni più gravi. Furono distrutti molti importanti edifici, tra questi la famosa “Palazzata”, la sequenza di edifici che costeggia il porto, già distrutta e ricostruita dopo il terremoto del 1783. Danni gravissimi si registrarono in numerosi paesi e piccoli centri dell’entroterra messinese e reggino. La scossa fu seguita circa dieci minuti dopo da una devastante onda di maremoto (con onde alte 10 metri) che produsse ulteriori danni e vittime.
Dinamica delle opere in sotterraneo
Introduzione
Le opere in sotterraneo in generale ed i tunnel in particolare, rientrano tra le infrastrutture di trasporto meno vulnerabili ai sismi. Ciò è dovuto in parte all’elevato grado di confinamento dei tunnel, in parte all’elevata capacità statica di accettare cerniere plastiche nei rivestimenti. Nonostante ciò, abbiamo una serie di danneggiamenti importanti riportati in letteratura: anche in tunnel profondi. Queste case histories evidenziano la necessità di adottare criteri antisismici evoluti nella progettazione di queste opere in particolar modo nelle vicinanza delle grandi faglie ed al crescere dell’importanza dell’opera stessa specialmente nel caso in cui è da considerarsi strategica e, quindi, essere fruibile anche a seguito di un evento sismico.
Infatti, il collasso o danneggiamento di un tunnel, oltre ad essere in generale, difficilmente ripristinabile, può causare difficoltà per i soccorsi in caso di emergenza.
Il comportamento delle strutture in sotterraneo soggette ad azioni sismiche va affrontato in maniera diversa rispetto alle strutture in elevazione. Il comportamento delle strutture in elevazione è regolato dalle caratteristiche inerziali della struttura mentre, la risposta dinamica delle strutture in sotterraneo è governata dalla risposta deformativa del terreno circostante e dalla loro interazione cinematica. La differenza è una diretta conseguenza della trascurabile inerzia dell’opera in sotterraneo rispetto a quella del terreno che la circonda.
Danni causati dal sisma
Cause di danni alle strutture possono essere:
- movimenti di faglia;
- deformazioni del terreno;
- liquefazione;
- frane o DGPV (per opere in aree/versanti instabili);
- diversa rigidezza strutturale tra elementi che costituiscono l’opera interrata (es: collegamento tra tunnel e pozzo di ventilazione).
I danni si verificano per:
- profondità delle opere minori di 50 metri;
- terreni deformabili;
- accelerazioni al suolo di picco (misurate in superficie) maggiori di 0,15 g;
- magnitudo del sisma maggiore di 6;
- un raggio massimo di 50 km dall’epicentro del sisma.
Dirette conseguenze sono:
- tunnel e opere profonde sono meno vulnerabili delle opere in superficie;
- tunnel realizzati in ammassi rocciosi sono meno vulnerabili rispetto a quelli in terreni deformabili;
- il miglioramento del terreno circostante il tunnel riduce la vulnerabilità;
- all’aumentare della durata dello scuotimento sismico aumentano le deformazioni plastiche.
Le opere sotterranee nei pressi di frane o DGPV indotte da eventi sismici manifestano spesso danni significativi. Le deformazioni dipendono da:
- propagazione delle onde;
- variazione delle caratteristiche del terreno;
- potenza degli strati;
- variabilità del moto dovuta alla “incoerenza” delle onde sismiche.
Tunnel costruiti in subalveo
Con le considerazioni di tipo geologiche, tettoniche e strutturali fatte in precedenza, affinchè possa essere realizzato un tunnel in subalveo sotto lo Stretto di Messina in tempi dell’ordine dei 5 anni, occorre che lo scavo venga eseguito con una TBM DS scudata la quale attraversi strati impermeabili e poco intrisi di acqua. Sotto l’impulso applicato allo scudo della TBM e, quindi, alla testa di scavo in rotazione, il terreno viene asportato dal fronte fluendo nella camera di scavo da cui viene estratto mediante la coclea.
Esistono due tipologie di TBM scudate, quella a scudo singolo (SS) e quella a doppio scudo (DS). La differenza principale da un punto di vista operativo di ciclo di avanzamento tra TBMs DS e SS risiede, per le TBM DS, nella concomitanza del montaggio del rivestimento prefabbricato con la fase di scavo, montaggio del rivestimento che invece nelle TBM a semplice scudo è in sequenza a quella di scavo.
È logico, quindi, che il ciclo di avanzamento di una TBM DS sia più breve di quello di una TBM SS, pur dovendosi tenere conto che nella TBM DS, al termine dello scavo è necessario eseguire il regripping, fase non prevista nelle TBM SS. Il vantaggio delle TBM DS nel ciclo di avanzamento e quindi, nella velocità di avanzamento oraria, è tuttavia variabile in funzione di alcuni parametri, i principali dei quali sono la velocità di penetrazione della TBM e il tempo di montaggio del rivestimento.
Occorre assolutamente evitare che una qualsivoglia infiltrazione di acqua non di falda (acqua di mare) giunga all’interno del tunnel attraverso un qualsiasi squarcio e/o fratture e/o discontinuità presenti negli strati di roccia attraversati; ciò potrebbe portare al collasso del tunnel stesso. Da qui l’importanza di attraversare strati di roccia impermeabili (?).
Al fine di non trovarsi impreparati qualora vi dovesse essere una qualsivoglia venuta d’acqua all’interno del cavo, occorre avere sempre a disposizione importanti quantitativi di resine poliuretaniche idroespansive specifiche pronte ad essere iniettate nel cavo per tamponare eventuali venute di acqua marina e/o dolce non appena lo scudo della TBM DS avanza. Ciò consentirà di posare i conci in C.A. prefabbricati in tutta tranquillità e sicurezza saturando, successivamente, a tergo dei conci con malta iniettata a pressione per collegare e sigillare il tutto.
Nella realizzazione di un tunnel sotto lo stretto di Messina (in realtà sarebbero 3 tunnel come vedremo nel seguito), di fondamentale importanza è la realizzazione di pozzi di aereazione. Vista la profondità che raggiungerebbe il tunnel in corrispondenza della costa calabrese e di quella siciliana, andrà valutata la posizione di detti pozzi spostandoli verso l’entroterra delle due regioni e sempre in corrispondenza del tracciato ferroviario. Infatti, essi sono di fondamentale importanza per i seguenti motivi:
- consentire l’aereazione del cavo in fase di esecuzione ed in fase di esercizio;
- possibili via di fuga in caso di una qualsivoglia emergenza in fase di costruzione;
- introduzione di macchine e materiali per la costruzione;
- eventuale smontaggio/montaggio e rimozione delle TBMs.
Ipotesi di sezione del tunnel ferroviario
Ai fini della sicurezza sia durante la costruzione che in esercizio, l’intera opera dovrebbe consistere in tre gallerie parallele o pseudo tali (vedi figura 10). Due sono gallerie ferroviarie di circa 8 metri di diametro distanziate di circa 30 metri (A); tra i due tunnel principali è posta una galleria di servizio di circa 5 metri di diametro in cui circolano veicoli su gomma (B); da essa ogni 400 metri circa partono delle gallerie di intersezione con i due tunnel ferroviari (C). Il tunnel di servizio serve al doppio scopo di fornire accesso agli operai addetti alla manutenzione e di fornire una via di fuga sicura in caso di emergenza e per consentire l’accesso dei mezzi di soccorso. Il tunnel di servizio dovrà essere mantenuto in pressione al fine di scongiurare l’ingresso di gas o fumi provenienti dai due tunnel principali (soprattutto in caso di incendio). I due tunnel ferroviari invece, dovranno essere collegati direttamente ogni 250 metri circa da condotti per lo sfogo della pressione al di sopra del tunnel di servizio senza unirsi ad esso (D); questi condotti servono a mitigare l’”effetto pistone” dovuto alla compressione dell’aria provocata dal transito del treno in corsa all’interno dei tunnel principali.
Come abbiamo già detto nei paragrafi precedenti, il tunnel ferroviario per le profondità delle acque dello stretto, per il ricoprimento che dovrà necessariamente avere e per le pendenze imposte dal transito dei treni, dovrà avere uno sviluppo che si attesterà intorno ai 40 km per ciascuna canna ferroviaria e altri 40 km per il tunnel di servizio che dovrà correre tra i due principali.
Con l’ipotesi di sezione fatta, per la realizzazione dei tunnel necessitano al minimo tre TBMs per l’esecuzione dei tre cavi al fine di rendere il progetto fattibile in tempi ragionevoli: due TBM DS con diametro di 8 metri e una con diametro di 5 per l’esecuzione del tunnel di servizio.
Viste le profondità in cui si andrebberò a realizzare i tunnel, occorrerà valutare economicamente se risulta essere vantaggioso o meno impiegare due TBM per ciascun tunnel (compreso quello di servizio) una con partenza dalla sponda calabrese e l’altra da quella siciliana per realizzare la stessa canna tenendo in debito conto che, viste le profondità in gioco, sarebbe quasi impossibile recuperare una delle due TBM nel momento in cui si incontrano entrambe in un punto prestabilito (circa a metà del tracciato oppure su una delle due sponde dello stretto). Il recupero della TBM sarebbe fattibile se almeno un pozzo di aereazione posto sullo stesso asse del tunnel avesse una profondità dell’ordine dei 40 metri (non di più) per poter riportare in superfice le macchine di scavo.
Un’alternativa potrebbe essere quella di lasciare nel terreno una delle due TBM utilizzate per ciascun tunnel. Infatti, nel punto di incontro prefissato tra due TBM, si potrebbe far deviare una dal tracciato principale continuando a scavare per una lunghezza pari proprio alla sua lunghezza per lasciarla poi nel sottosuolo in una delle due sponde (TBM a perdere). Questa operazione potrebbe essere ripetuta, quindi, per tutti e tre i tunnel impiegando in totale sei TBMs e di cui sarà possibile recuperarne soltanto tre a fine scavo. Ciò consentirebbe di ridurre i tempi del solo scavo di circa il 40÷45% rispetto al tempo necessario se usassimo soltanto tre TBMs.
Siccome il primo ad essere eseguito che fungerà anche da tunnel esploratore e/o di consolidamento dei terreni attraversati, dovrà essere proprio il tunnel di servizio di circa 5 metri di diametro, ipotizzando di usare due TBM DS, si potrebbe impiantare un cantiere, nell’ipotesi di tracciato 1, nell’area della città di Reggio Calabria (zona Aeroporto) oppure, nell’ipotesi di tracciato 2, in un’area da individuare nell’interland di Bagnara Calabra (RC) (?) con il montaggio di una TBM DS e l’altro cantiere nell’area di Tremestieri/Mili Marina con il montaggio della seconda TBM DS.
Considerata una produzione media a cantiere installato ed avviato di una TBM DS che è di circa 40÷45 metri al giorno (ciclo di lavoro di H24 su 4 turni) di tunnel finito (ovvero con conci prefabbricati posati), per l’esecuzione dell’intero tracciato (nr. 3 tunnel) necessiterebbero circa 1500 giorni complessivi (anche non consecutivi) di solo scavo esclusi i giorni di impianto cantieri e montaggio delle TBMs. Il vantaggio in termini di produttività delle TBM DS è importante in quasi tutte le condizioni geologiche salvo che per i diametri oltre i 15 m e per rocce di elevatissima resistenza, sopra i 200 Mpa. In queste condizioni estreme il tempo di scavo è talmente lungo che le differenze di ciclo tra le due tipologie di TBM (a scudo singolo SS o a doppio scudo DS) sono molto ridotte e compensate dalla differente efficienza delle due tipologie di TBMs.
Per raggiungere le produzioni di cui sopra, occorre tuttavia dimensionare opportunamente gli impianti ausiliari e di trasporto, sia all’interno che all’esterno della galleria.
Completati i primi 4÷5 km di tunnel di servizio da entrambe le sponde, si potranno avviare gli scavi per la realizzazione dei tunnel ferroviari paralleli a quello di servizio.
Stoccaggio materiale di scavo dei tunnel e dei conci prefabbricati di rivestimento
Con la sezione ipotizzata al paragrafo precedente ed uno sviluppo complessivo di circa 40 km sia per l’ipotesi di tracciato 1 che di tracciato 2, il problema dello stoccaggio e/o smaltimento del terreno proveniente dallo scavo sarebbe un problema di non trascurabile risoluzione; stiamo parlando di circa 5,5 Mln di mc di terreno e roccia in posto che una volta scavata diventerebbro circa 7,5÷8 Mln di mc. Una minima parte di questo materiale potrebbe essere utilizzato per preparare enormi aree per improntare i cantieri man mano che avanza lo scavo dei tunnel mentre, tutto il resto, ossia la maggior parte, andrebbe smaltito.
Affinchè lo scavo possa avanzare speditamente ed i fermi macchina limitati al massimo (per una TBM DS delle dimensioni in questione stiamo parlando di circa 20÷25.000 €/giorno) occorre che siano disponibili sul posto i conci prefabbricati per rivestire definitivamente il/i tunnel in esecuzione. Ecco che si presenta il problema dello stoccaggio degli stessi in entrambe le sponde; il che non è un problema da sottovalutare visto il grande quantitativo di conci e la sequenza corretta di montaggio che richiedono. Dovrebbero essere stoccati in ampie aree facilmente accessibili e facilmente prelevabili dai mezzi che li porteranno alla TBM DS che li installerà in opera con la giusta sequenza.
Si potrebbe pensare di creare delle enormi “piazzole” artificiali in mare (strette e lunghe) in corrispondenza dell’impianto dei cantieri sulle due sponde, “quasi a voler sottrarre terreno al mare”, depositandovi, man mano che procede lo scavo dei tunnel, il terreno di smarino (?).
Il surplus di materale proveniente dallo scavo dei tunnel si potrebbe pensare venga depositato per mezzo di chiatte idonee allo scopo, in un punto a scelta sul fondale al centro del canale dello stretto (?).
Stazioni di pompaggio
Realizzare un tunnel di questa natura ed imponenza non si può prescindere dal predisporre un altrentanto imponente sistema di sollevamneto della acque di venuta all’interno del tunnel stesso. Chi pensa di realizzare un tunnel totalmente impermeabile e non prevedere alcunchè per l’espulsione dell’acqua dal tunnel, sta sostenendo una colossale menzogna.
L’acqua andrà pompata ed espulsa anche dal punto più basso che potrà avere il tunnel al di sotto del fondale dello Stretto. Ciò significa dover pompare l’acqua di venuta verso le due sponde con un complesso, potente e ridondante (in caso di guasto e/o emergenza e/o mancanza di energia elettrica) sistema di pompe, stazioni di sollevamento e generatori esterni di energia elettrica che partendo dal punto più basso consentiranno di allontanare l’acqua verso i due imbocchi.
Giunti Sismici
Per proteggere la struttura dei tunnel andranno realizzati dei giunti sismici nel rivestimento in corrispondenza del passaggio tra due strati (es. nel passaggio dalla roccia dura ai depositi sedimentari teneri) e/o in corrispondenza delle faglie. Questi giunti potrebbero essere realizzati in acciaio speciale ed installati nel rivestimento come un anello di tunnel. Considerato l’aspetto geologico e tettonico delle formazioni attraversate dai tracciati ipotizzati, essi dovranno consentire movimenti al minimo di 100 mm in contrazione, 100 mm in espansione e 100 mm di taglio (da una serie di case histories di danneggiamenti di gallerie da sisma, si è visto che questo ordine di movimenti nel sottosuolo si sono avuti anche per terremoti di magnitudo compresi tra 6 e 6,4).
Conclusioni
I tunnel realizzati in subalveo, ormai dimostrato da anni, sono ingegneristicamente fattibili e, quindi, realizzabili sebbene le profondità in gioco nel caso dello Stretto di Messina siano importanti raggiungendo una profondità di circa -200 m all’estradosso dei due tunnel principali (come da sezione ipotizzata e garantendo un ricoprimento minimo di 50 metri dal fondale marino). Ciò significa che a meno di una campagna geognostica più approfondita che andrà eseguita nelle acque profonde dello Stretto, il tunnel attraverserà per lo più lo strato di conglomerato basale ovvero, la successione di strati composti dall’intervallo marino plio-plestocenico, le sabbie tortoniane ed i limi e trubi; strati che si trovano tutti localizzati al di sopra del conglomerato basale anzidetto.
Lo stretto di Messina risulta essere una struttura tipo “Graben” ovvero, una fossa oceanica tettonica: una porzione di crosta terrestre che è sprofondata a causa dell’azione combinata di un sistema di faglie normali (o dirette) in regime tettonico di tipo distensivo.
In altre parole ciò significa che lo stretto di Messina non è altro che una depressione di natura tettonica formatasi in 125.000 anni, grazie al ripetersi di grandi terremoti che hanno gradualmente allontanato la punta nord-orientale della Sicilia dalle coste della Calabria meridionale, e dal resto del continente. Non è un caso se i Peloritani (riva siciliana) che il massiccio dell’Aspromonte (riva calabrese) presentano lo stesso tipo di conformazione: in epoche passate la Sicilia era unita al resto del continente.
Lo Stretto è ubicato in una zona molto instabile dal punto di vista tettonico. È qui che convergono ben tre placche continentali, ognuna di esse ha un proprio movimento che le porta a scontrarsi formando cosi un sistema di faglie normali, lungo complessivamente 370 km denominato “Siculo-Calabrian Rift zone”. Questo complesso sistema di faglie si estende in modo continuo dalle coste tirreniche calabresi, prolungandosi attraverso lo Stretto di Messina, lungo la costa ionica della Sicilia fino a raggiungere gli Iblei orientali (Sicilia sud-orientale) e l’area attorno l’isola di Malta. Non è un caso se il più alto vulcano della placca euroasiatica ed il più attivo al mondo sorge proprio in questa area (Etna). Da sempre i siciliani si sono rivolti alla “montagna”, in segno di rispetto e di privilegio per essere in contatto diretto con colei che ha dato origine alla propria terra, chiamandola “Idda” (Lei) e in occasione di eruzioni, descrivendola come “Idda parra” (Lei parla).
A seguito del terremoto del 1908, grazie a una ricerca condotta dall’istituto geografico militare italiano nel 1909, si scoprì che la costa calabrese sprofondò di 55 centimetri rispetto al livello del mare, mentre quella siciliana arrivò a meno 75 centimetri. Studi successivi evidenziarono come la notevole “subsidenza” di queste aree sia stata generata proprio da una faglia normale che corre parallela all’asse dello Stretto.
Si tratta di una regione interessata da intensi movimenti tettonici verticali ancora attivi, che hanno dato origine al rapido sollevamento dell’Aspromonte in Calabria e dei Monti Peloritani in Sicilia. Il sollevamento del basamento cristallino è avvenuto con andamento discontinuo ed ha generato la successione dei terrazzi pleistocenici che delimitano la zona orientale del bacino di Reggio Calabria.
Ritornando alla realizzazione del tunnel ferroviario (in base alla tipologia di sezione ipotizzata in realtà sarebbero tre i tunnel da scavare), il tracciato si troverebbe ad intersecare in maniera pseudo-ortogonale il piano di faglia principale, o meglio, il sistema di faglie normali presenti sotto lo stretto ovvero, quelle che si riscontrano in superficie dalla parte della sponda calabra e siciliana.
Per un’opera di questo genere, essendo la risposta dinamica delle strutture governata dalla risposta deformativa del terreno circostante e dalla loro interazione cinematica, i danni causati da un movimento di faglia, frane e/o grandi Deformazioni Gravitative ovvero, le deformazioni generate dal movimento lento ed inesorabile di allontanamento tra le due sponde, sarebbero molto importanti e di difficile riparazione e potrebbero addirittura causare il collasso e l’allagamento totale del tunnel.
Anche la letteratura suggerisce di realizzare tracciati in gallerie sviluppandoli in maniera sempre parallela ai piani di faglia facendo in modo che l’opera non intercetti la stessa. Nel caso ciò avvenga, si deve mettere in debito conto, valutando opportunamente il rischio, che in occasione di eventi sismici l’opera possa essere “tranciata” per sollecitazioni di taglio dal movimento della faglia.
Un esempio recente di ciò che sto affermando si è avuto con il terremoto 30 ottobre 2016. Il movimento di faglia ha danneggiato, tra le tante strutture e opere d’arte, anche la Galleria di Forca Canapine S.S. 685 delle “Tre Valli Umbre”; il sisma è stato di Magnitudo 6,5 ad una profondità di 10 km. Il terremoto del 30 ottobre in Italia Centrale ha prodotto almeno 15 km di scarpata di faglia tra gli abitati di Arquata del Tronto e Ussita, in corrispondenza della intersezione del piano di faglia responsabile del terremoto e la superficie topografica. Questo spostamento cosismico è comune per terremoti con magnitudo prossima o superiore a 6 e rappresenta la prosecuzione verso la superficie della rottura e dello scorrimento avvenuto sulla faglia in profondità.
Si potrebbe anche parlare delle tante opere in sotterraneo in Italia interessate da danni generati da grandi frane e/o DGPV ovvero, grandi frane quiescenti riattivate proprio in seguito alla realizzazione di opere infrastrutturali come sono le gallerie che le rendono a volte impraticabili oppure richiedono costosissime opere di protezione e di adeguamento che andranno ripetute negl’anni (Un esempio per tutti è la Galleria Val di Sambro della Variante di Valico Direttissima Autostrada A1).
Oltreoceano, in California, in prossimità della faglia di Sant’Andrea si realizzano tunnel, anche in subalveo, ma sempre sviluppando il tracciato in maniera parallela alla faglia stessa. Allorquando si vuole realizzare un’opera ingegneristica che attraversi in maniera pseudo-ortogonale il piano di faglia, si opta per una struttura che l’attraversa senza interferire in maniera diretta con essa, ovvero realizzando un ponte.
Anche per il ponte sullo Stretto, però, per quanto già visto in precedenza in termini geologici e tettonici nonché, considerando gli spostamenti in atto misurati tra le due sponde e, in ognuna di esse, dei fenomeni Deformativi Gravitativi in atto ed in rapida evoluzione in caso di eventi sismici di magnitudo pari o superiori a 6, non possiamo escludere il verificarsi di danni importanti all’opera stessa generati da assai probabili cedimenti alla base delle torri e/o ancoraggi del ponte.
Per contro, da un punto di vista ingegneristico si ritiene che queste problematiche possano essere maggiormente affrontate e gestite rispetto ad un tunnel in subalveo. Quest’ultimo, infatti, si verrebbe a trovare ad elevate profondità al di sotto del fondale marino dello Stretto che ad oggi, per certi versi, risulta essere ancora in parte ignoto ed inesplorato, almeno per quanto riguarda il numero ed il complesso sistema di faglie che “accomoda” la convergenza tra le placche africana ed eurasiatica che lo attraversano e lo modificano inesorabilmente.
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